Dramma in un raviolificio valtellinese: un operaio di 36 anni quasi decapitato da un’impastatrice. Una dinamica che strilla l’incapacità di tutelare i più deboli: per noi, per il Sud, per la dignità del lavoro.
Giovedì 28 agosto 2025, poco prima di mezzogiorno, in un modesto pastificio familiare lungo via Don Guanella a Cosio Valtellino (Sondrio), un operaio di 36 anni si è trovato intrappolato in un’impastatrice: una macchina che avrebbe dovuto facilitare la sua giornata, ma che invece gli ha strappato via la vita—o quel che ne resta. “Che glieli ha praticamente dilaniati. Amputati.” scrive Il Giorno, con dolente precisione chirurgica.
Giovedì 28 agosto 2025, poco prima di mezzogiorno, in un modesto pastificio familiare lungo via Don Guanella a Cosio Valtellino (Sondrio), un operaio di 36 anni si è trovato intrappolato in un’impastatrice: una macchina che avrebbe dovuto facilitare la sua giornata, ma che invece gli ha strappato via la vita—o quel che ne resta. “Che glieli ha praticamente dilaniati. Amputati.” scrive Il Giorno, con dolente precisione chirurgica.
Secondo le prime ricostruzioni, il lavoratore stava effettuando un’operazione di manutenzione o pulizia quando è avvenuta la tragedia: improvviso, brutale, irreversibile . In quell’arco di pochi attimi, la sua routine è diventata un incubo vivente, pieno di sangue, sirene e lotta per la sopravvivenza. Lo hanno trovato svenuto, in condizioni disperate. L’intervento dei Vigili del Fuoco è stato un atto di eroismo tecnico, i cui dettagli l’articolo di La Provincia-Unica TV definisce “lunghe e complesse” . Dopo la liberazione, l’uomo è stato trasportato in codice rosso con l’elicottero al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove lotta ancora tra la vita e la morte, con condizioni definita “estremamente critiche” e “riservate”.
Il quadro è completo già così: ma sarebbe moralmente criminale fermarsi qui. Quel che è successo a Cosio Valtellino non è una fatalità: è la rappresentazione plastica di un modello produttivo che sacrifica la vita umana sull’altare del “costruire tutto in casa”, dell’impresa artigianale, del “piccolo è bello”. Il risultato? Sicurezze ridotte, formazione spesso inconsistente, macchinari pericolosi, zero guardie attive o interruttori di emergenza che funzionano solo su carta, procedure colabrodo.
Il 118, i Carabinieri, i Vigili del Fuoco e i tecnici dell’ATS si trovano coinvolti ANCHE in questo, ma non possono essere la risposta definitiva. L’inchiesta è aperta: perché, si domandano, quell’impastatrice non ha fermato la macchina al contatto? Cosa mancava in quell’ambiente di lavoro?
Il contesto è quello di un’azienda familiare in Valtellina, “piccola ma florida”, come la definisce La Provincia, specializzata in ravioli, pasta fresca e pizzoccheri: un esempio dell’eccellenza gastronomica locale, ora coperto da un’ombra drammatica . Eppure, proprio queste luci brillanti del made in Italy rischiano di oscurarsi quando la scarsa attenzione alla sicurezza diventa tragica. Se la responsabilità morale del datore di lavoro esiste, è ora che emerga con forza.
In un contesto dove la quasi totalità degli infortuni gravi o mortali accade nelle PMI (piccole e medie imprese), il sistema produttivo italiano si conferma fragile. Le cause? – Ridottissimi investimenti in formazione continua – Procedure di sicurezza copiate da manuali universitari, mai testate a terra – Zero cultura della prevenzione – Organismi di controllo sotto organico, sempre più rallentati. Questo è il nostro sistema.
Immaginiamo un’operaio normale, un padre di famiglia, che si reca al lavoro pensando di produrre con arte un alimento che ci unisce nella condivisione. E torna a casa tagliato nella sua dignità, per una manciata di risparmi sugli interblocchi, su un pulsante di emergenza, su un addestramento. Questa è la vergogna di cui non possiamo più tacere.
Se non ora, quando? Chiamata all’azione:
- Sorveglianza rafforzata nelle microaziende alimentari: patti chiari tra aziende e ATS, con visite quindicinali a sorpresa.
- Formazione obbligatoria certificata per ogni addetto a macchinari pericolosi, con rilascio di “patentino” annuale.
- Certificazione impianti obbligatoria, scelta obbligata di fornitori autorizzati, collaudi veri, non pezze burocratiche.
- Riforma del sistema sanzionatorio, con multe pesanti e sospensione immediata dell’attività per chi viola le norme; e, sì, responsabilità penale vera per i titolari, non chiacchiere.
Non è fatalismo né terrorismo. È un’emergenza culturale e politica. Finché non capiamo che i lavoratori sono esseri umani e non numeri da bolletta, questo racconto si ripeterà. Non può essere il destino di un operaio finire così: incastrato nell’impastatrice, amputato ma ancora chiamato ‘risorsa’.
L’incidente del 28 agosto 2025 deve diventare il simbolo della presa di coscienza. Perché la sicurezza non può essere “se ci ricordiamo”, ma deve essere ogni giorno, sotto gli occhi di tutti. E se le piccole imprese vogliono restare vanto locale, devono accettare di rispettare standard che garantiscano la vita e la dignità di chi lavora.
Cultura, controlli, sanzioni: servono tutti e subito.
L’incidente del 28 agosto 2025 deve diventare il simbolo della presa di coscienza. Perché la sicurezza non può essere “se ci ricordiamo”, ma deve essere ogni giorno, sotto gli occhi di tutti. E se le piccole imprese vogliono restare vanto locale, devono accettare di rispettare standard che garantiscano la vita e la dignità di chi lavora.
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