C’è una nuova specie rara da proteggere in Italia, e non è il panda gigante né il lupo appenninico. È l’infermiere italiano. Quella creatura instancabile, votata al sacrificio, che ormai rischia l’estinzione nel suo habitat naturale: gli ospedali pubblici. A pochi giorni dalla Giornata Internazionale dell’Infermiere, il Belpaese si scopre più “malato” che mai, con una diagnosi che non lascia scampo: mancano 65mila infermieri, e chi c’è sta cercando disperatamente l’uscita d’emergenza. Spesso la trova all’estero. O, nei casi peggiori, nei centri per l’impiego.
Ma andiamo con ordine, ché i numeri non mentono mai. In Italia ci sono circa 400mila infermieri attivi, su 460mila iscritti all’albo. Una bella differenza, che fa pensare. Eppure ci si ostina a chiedersi “perché gli infermieri si licenziano?”. Semplice: perché sono stanchi di fare turni massacranti, di coprire buchi di organico, di prendersi le responsabilità di un intero reparto con stipendi da fame. Ma, mi raccomando, con il sorriso sotto la mascherina. Magari mentre prendono un caffè annacquato in corridoio, tra una flebo e un codice rosso.
Il paradosso è che si continua a cercare infermieri come se fossero Pokémon da collezionare. “Ne mancano 65mila!” tuona la Federazione nazionale degli ordini (Fnopi), ma intanto si continua a ignorare che non è un problema di quantità, ma di qualità della vita lavorativa. Lo stipendio medio? Intorno ai 1.400-1.500 euro al mese. Con questo compenso, chi si sente chiamato alla missione infermieristica può solo sperare di arrivare a fine mese con l’aiuto della Divina Provvidenza, o magari facendo due o tre turni extra. Non retribuiti, si intende. Perché il senso del dovere, si sa, non ha prezzo.
Ma non temete, c’è la soluzione! Basta pescare infermieri dall’estero. Nel 2025 sono già 43.600 gli infermieri stranieri presenti in Italia, e il numero è aumentato del 47,3% in cinque anni. Benvenuti, cari colleghi romeni, polacchi, albanesi, indiani e peruviani. Vi aspetta un’avventura indimenticabile fatta di turni infiniti, pazienti dimenticati nei corridoi e un sistema sanitario che si regge su chi resiste più a lungo senza dormire. Perché qui, più che una professione, l’infermieristica è un atto di fede.
Il problema si fa ancora più grottesco se si guarda alle cure palliative: servirebbero 4.550 infermieri domiciliari, ma ne abbiamo solo 1.500. Mancano all’appello oltre 3.000 professionisti. E non si tratta di una mancanza marginale: la carenza è del 66%. In altre parole, due pazienti su tre non ricevono l’assistenza che gli spetta per legge e per dignità. Ma l’importante è che se ne parli a ogni ricorrenza ufficiale, con belle parole e comunicati stampa zeppi di buone intenzioni.
A rincarare la dose c’è la famosa “gobba pensionistica”: nei prossimi dieci anni, usciranno dal sistema altri 110mila infermieri. E mentre ci si organizza con task force, tavoli tecnici e slogan da campagna elettorale, gli infermieri continuano a fuggire. Alcuni vanno in Francia, Germania, Regno Unito: lì guadagnano di più, lavorano in condizioni umane, e possono perfino permettersi una vacanza. Un lusso da noi impensabile, se non si vuole scatenare un’altra emergenza nei pronto soccorso.
Ma attenzione, la soluzione c’è (e qui il sarcasmo tocca il suo apice): invece di alzare gli stipendi o migliorare le condizioni, si cercano nuove campagne di orientamento per attrarre giovani alla professione. Perché, si sa, a vent’anni uno sogna un futuro fatto di emozioni forti… tipo dormire in macchina tra un turno e l’altro o gestire trenta pazienti con una sola siringa.
Nel frattempo, i pochi giovani coraggiosi che si iscrivono ai corsi di laurea in infermieristica spesso si ritrovano a lasciare gli studi a metà. Il motivo? Scoprono che la prospettiva lavorativa assomiglia più a una missione impossibile che a una carriera appagante. Vogliono specializzarsi, vogliono crescere, ma il sistema li inchioda a fare i tappabuchi in pronto soccorso, senza possibilità di evoluzione professionale, senza riconoscimenti, senza alcuna gratificazione. Solo pacche sulle spalle e frasi tipo: “Siete eroi”. Già, ma anche gli eroi hanno bisogno di mangiare e pagare le bollette.
La presidente di Fnopi, Barbara Mangiacavalli, ha lanciato un appello accorato: “La questione infermieristica riguarda tutta l’Italia, va affrontata da una cabina di regia interministeriale”. Giusto. Peccato che, finora, la cabina sia vuota e i ministri sembrino più interessati al numero dei like che alle liste d’attesa.
Insomma, la morale è chiara: se vuoi sopravvivere come infermiere in Italia, o hai i superpoteri o un volo di sola andata per Berlino. E finché lo Stato continuerà a trattare i suoi infermieri come semplici numeri o peggio, come eroi usa-e-getta, il problema non farà che peggiorare.
Per ora, però, auguriamo a tutti gli infermieri una felice Giornata Internazionale. Magari festeggiandola con un bel doppio turno. Non pagato, ovviamente.
