“Con l’euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più.”
Vi ricordate questa frase? Correva l’anno del Signore 1999, e Romano Prodi, con l’entusiasmo di chi sta per regalarci il futuro su un piatto d’argento, annunciava ai cittadini italiani la rivoluzione della moneta unica. Finalmente, dopo anni di svalutazioni, inflazioni e lire dal valore incerto, l’euro sarebbe arrivato come un messia economico: meno lavoro, più soldi. Un paradiso finanziario a portata di mano.La realtà: un giorno in più, un euro in meno
Ma allora cosa voleva dire Prodi?
Proviamo a interpretare meglio. Forse intendeva dire che, con l’euro, la produttività sarebbe aumentata e quindi gli stipendi sarebbero cresciuti. Peccato che, mentre in Germania le aziende investivano in innovazione e organizzazione, in Italia molti imprenditori hanno preferito continuare con il vecchio sistema: massimo profitto, minimo investimento. Risultato? La produttività italiana è rimasta al palo, ma il costo della vita è salito.
Una profezia… al contrario
Insomma, l’euro ci ha portato stabilità, ma anche rigidità. Senza la lira, l’Italia ha perso la possibilità di svalutare la moneta per rendere più competitive le proprie esportazioni. Il risultato? Abbiamo dovuto rincorrere il costo del lavoro con contratti precari, tagli ai diritti e stipendi sempre più vicini alla soglia della sopravvivenza.
Intanto, Prodi e gli altri padri dell’euro hanno proseguito le loro carriere, lontani dai supermercati dove la gente si è ritrovata a fare i conti con il nuovo conio. Perché alla fine, la moneta unica è stata come una di quelle offerte da televendita: sulla carta sembra un affare, ma poi, quando arriva a casa, scopri che non funziona come promesso e non puoi neanche restituirla.
E voi, lavorate un giorno in meno? Guadagnate come se lavoraste un giorno in più? O state ancora cercando lo scontrino per il reso dell’euro?
