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Maestra su OnlyFans: il sacro, il profano e il posto fisso



Se c’è una cosa che noi italiani amiamo più del calcio e della pasta al dente, è il dibattito sui confini tra vita privata e lavoro. Questa volta, a scatenare il chiacchiericcio da bar e le accorate discussioni social, è stata la vicenda di una maestra veneta sospesa perché aveva un profilo su OnlyFans. Una storia che ha tutto: moralità, modernità, lavoro precario e una buona dose di ipocrisia.

Un giorno maestra, un giorno influencer (ma di nascosto)

Immaginate la scena: una mattina insegni ai bambini a disegnare il sole con la cera gialla, la sera monetizzi la tua immagine su una piattaforma per adulti. Di giorno fai la maestra paziente e amorevole, di notte… beh, diversifichi le entrate. E qui scatta il dilemma: può una maestra d’asilo avere una vita privata che non corrisponda all’immagine della “maestrina dalla penna rossa”?


Il problema non è nuovo: un tempo erano le attrici di fotoromanzi a scandalizzare i benpensanti, poi sono arrivate le influencer con le pubblicità occulte, ora siamo a OnlyFans. Ma alla fine, la domanda è sempre la stessa: fino a che punto un lavoratore può essere giudicato per quello che fa fuori dall’orario di lavoro?

L’obbligo della coerenza (ma solo per alcuni lavori, ovviamente)

Secondo i più rigidi sostenitori della “morale da ufficio”, chi lavora in certi ambiti ha il dovere di essere coerente con il ruolo che ricopre. La maestra, ad esempio, dovrebbe incarnare l’innocenza, il dottore dovrebbe essere astemio, il poliziotto non dovrebbe mai infrangere il codice della strada, il giornalista non dovrebbe scrivere fesserie (ma qui la questione si complica).

Ma se la coerenza è d’obbligo, perché non estenderla a tutti i mestieri? Il macellaio vegetariano, il dietologo che s’ingozza di fritti, l’impiegato delle poste che si arrabbia per l’attesa in fila, l’influencer che consiglia un prodotto e poi usa quello della concorrenza… Tutti casi eclatanti, ma senza conseguenze professionali.

Dunque, la verità è che certi lavori portano con sé una sorta di “clausola implicita” secondo cui non puoi mai, mai, mai avere una vita privata che si discosti dal personaggio che il pubblico si aspetta da te.

L’OnlyFans delle professioni accettate

Eppure, il mondo del lavoro sta cambiando. Il precariato regna sovrano, gli stipendi faticano a tenere il passo con l’inflazione, e sempre più persone cercano entrate alternative. Se le aziende si riservano il diritto di licenziare chi “non rappresenta i loro valori”, non sarebbe il caso di rivedere anche i compensi?

Diciamocelo: se i lavori fossero pagati decentemente, forse meno persone cercherebbero modi alternativi per arrotondare lo stipendio. Se la maestra avesse avuto un contratto da dirigente scolastico, probabilmente avrebbe passato la sera a guardare serie TV invece di dover gestire un profilo su una piattaforma a pagamento.

La soluzione? Un bel codice etico 2.0

Forse, l’unica via per risolvere questo tipo di polemiche è aggiornare i codici etici aziendali. Potremmo proporre un “contratto di trasparenza digitale”, dove i lavoratori dichiarano all’azienda il loro secondo lavoro, e in cambio ricevono una valutazione oggettiva della compatibilità tra le due attività.

Oppure, più semplicemente, potremmo accettare il fatto che un lavoratore è prima di tutto una persona, con una vita privata che non deve necessariamente coincidere con l’immagine che qualcun altro si aspetta da lui.

Dopotutto, se i bambini non hanno mai scoperto il profilo della loro maestra su OnlyFans, forse il vero problema non è il suo lavoro extra… ma il modo in cui la società continua a giudicare la vita altrui con metri di misura selettivi.


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