Un’altra croce si aggiunge alla lunga, interminabile lista delle morti bianche. Questa volta è successo ad Arezzo, ma il dolore arriva fino a Verghereto. Alessandro Guerra, 54 anni, ha perso la vita in un cantiere comunale, mentre svolgeva il suo lavoro. È morto solo, senza testimoni, forse caduto da un piccolo mezzo meccanico. Una scena già vista troppe volte: un operaio che esce di casa per guadagnarsi il pane e non torna più.
E mentre le istituzioni e le aziende si affrettano a rilasciare le solite dichiarazioni di cordoglio, la realtà resta la stessa: si continua a morire sul lavoro, si continua a piangere vittime innocenti, e si continua a far finta di voler cambiare le cose. La CGIL parla di emergenza, di necessità di controlli e prevenzione. Ma quante volte abbiamo già sentito queste parole? Quante vite dovranno ancora spezzarsi prima che si passi dalle dichiarazioni ai fatti?
Più di 1000 morti sul lavoro ogni anno. Un bollettino di guerra in un Paese che si definisce civile. Ma dove sono le riforme? Dove sono i controlli? Dove sono le pene severe per chi non rispetta le norme di sicurezza? Si lasciano proliferare appalti al massimo ribasso, si chiude un occhio sulle condizioni dei lavoratori, si tollera la precarietà che rende impossibile per gli operai denunciare situazioni di pericolo. Poi, quando accade l’irreparabile, tutti si indignano per qualche giorno, fino alla prossima tragedia.
Alessandro Guerra è morto sul lavoro, ma la verità è che è stato ucciso dall’indifferenza di un sistema che da anni considera la sicurezza un fastidio, un costo superfluo. Oggi il dolore è per lui e per la sua famiglia, ma domani chi sarà il prossimo?
